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15/05/2025
Ricerca e innovazione

Le materie prime nascoste nei nostri smartphone

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Chiara Magrini e Annalisa Abdel Azim ritirano il Premio Atlante 2025

Quando acquistiamo un nuovo modello di smartphone quale destino riserviamo al precedente dispositivo in nostro possesso? Lo smaltiamo o, come accade più spesso, lo riponiamo in un cassetto dimenticandoci della sua esistenza? Soprattutto, abbiamo consapevolezza di cosa contengono questi oggetti ormai imprescindibili del nostro vivere quotidiano?

Il nuovo progetto di Dottorato del Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture-DIATI del Politecnico, co-finanziato dal progetto iENTRANCE@ENL, parte da questi interrogativi per mostrare le potenzialità dei dispositivi elettronici dismessi nell’approvvigionamento di materie prime. Mobi (Microbial Ore Bioleaching) – questo il nome del progetto che è anche parte del programma “Technologies Sustainability” Flagship dell’Istituto italiano di Tecnologia – invita a ripensare il rapporto con la tecnologia proponendo un approccio inedito per estrarre elementi critici, metalli preziosi e terre rare dagli smartphone a fine vita, grazie all’intervento dei microrganismi

Gli smartphone rappresentano oggi una vera e propria miniera d’oro: al loro interno si trovano oltre 80 elementi della tavola periodica. Basti pensare che una tonnellata di telefoni a fine vita può contenere circa 53 kg di rame, 141 g di oro, 270 g di argento, 10 g di platino, 18 g di palladio e 3,3 kg di terre rare. Solo nel 2022, il valore economico complessivo dei 5 miliardi di dispositivi dismessi ha raggiunto i 9 milioni di euro. Si tratta di numeri significativi, che hanno portato la dottoranda Chiara Magrini, supervisionata dalla docente del DIATI Francesca Verga e dall’assegnista di ricerca post-doc del Dipartimento di Scienza Applicata e Tecnologia-DISAT Annalisa Abdel Azim, a interrogarsi su come valorizzare questi scarti industriali, trasformandoli in risorse attraverso pratiche di economia circolare e processi rigenerativi per il recupero delle materie prime.

Le materie prime sono infatti centrali per l’economia del pianeta, ma il “il prezzo da pagare” per la loro estrazione dalla terra continua oggi a salire. Recuperarle tramite urban mining – ovvero il riutilizzo dei materiali presenti nei rifiuti elettronici – come proposto dal progetto di Ateneo potrebbe quindi affermarsi come una strategia vantaggiosa sia in termini di sostenibilità ambientale, sia di circolarità delle risorse, sia economica. Si supererebbero così le tradizionali tecniche metallurgiche energivore che prevedono l’uso di sostanze chimiche tossiche e inquinanti a favore di metodologie meno intensive, rispondendo in questo modo alla domanda crescente di metodi di riciclo e recupero più sostenibili a supporto di un’economia UE più locale e resiliente.

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Dentro lo smartphone

Protagonisti di questo metodo innovativo sono microrganismi specializzati nell’estrazione dei metalli, impiegati in un processo noto come bioleaching. Questo prevede la solubilizzazione dei metalli tramite l’azione diretta dei microrganismi o indiretta, attraverso i composti biogenici da loro prodotti, come ad esempio gli acidi organici. Il processo studiato si basa, nello specifico, su comunità di microorganismi selezionate da fanghi di scarti urbani, normalmente generati da processi di produzione di biogas; grazie al loro metabolismo, questi microorganismi generano acidi organici in grado di dissolvere i metalli presenti nelle componenti elettroniche degli smartphone dismessi. La trasformazione degli scarti in una risorsa utile avviene senza ricorrere a sostanze tossiche o inquinanti e, a differenza dei metodi metallurgici tradizionali, non richiede condizioni operative estreme. Un approccio sostenibile che ha portato il progetto di Ateneo a vincere il Premio Atlante 2025, promosso dalla Fondazione Circolo dei Lettori di Torino e dedicato alle ricerche innovative capaci di affrontare le sfide ambientali della nostra società.

“I primi esperimenti condotti sulle polveri di circuiti stampati hanno validato l’efficacia del nostro approccio nel solubilizzare metalli critici come rame, nichel e alluminio – commentano Chiara Magrini e Annalisa Abdel AzimI risultati, seppur preliminari, sono estremamente promettenti e rafforzano la nostra fiducia in mobi come piattaforma per il recupero circolare di materie prime critiche da rifiuti elettronici. Nei prossimi mesi, ci concentreremo quindi sull’ottimizzazione dei consorzi microbici e dei parametri di processo, con l’obiettivo di aumentare le rese e la selettività del recupero, in vista di future applicazioni su scala pilota”

“Per noi Mobi rappresenta un progetto che apre nuove prospettive sui percorsi di fine vita dei nostri dispositivi elettronici – continuano le due ricercatrici – Siamo entusiaste che l’iniziativa stia ricevendo attenzione, perché crediamo possa contribuire a generare una riflessione più ampia su cosa consideriamo scarto e su come possiamo trasformarlo in risorsa. Il nostro sguardo è rivolto al futuro, non solo verso lo sviluppo tecnologico, ma anche verso una cultura della cura, della rigenerazione e della responsabilità nei confronti dei materiali che attraversano le nostre vite”.