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25/02/2025
Ricerca e innovazione

Nanoparticelle per migliorare le analisi e le terapie mediche

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Schema della tecnologia proposta, testata su vari sistemi cellulari dal 2D al 3D ed ex-vivo, che evidenziano i sistemi di imaging ecografico e in sonoluminescenza usando un unico agente di contrasto, le nanoparticelle. I dati raccolti possono essere implementati tramite algoritmi di intelligenza artificiale

Particelle piccolissime – nanoparticelle – che riescono ad arrivare nei punti più remoti degli organismi e che, adeguatamente sollecitate da ultrasuoni, riescono a fornire immagini dei tessuti più nitide ed efficaci. É quanto sperimentato dal Dipartimento Scienza Applicata e Tecnologia-DISAT: una tecnologia che potrebbe far fare un salto di qualità importante nelle analisi mediche più delicate. 

“Il mio gruppo di ricerca è esperto in nanoparticelle e loro applicazioni biomedicali; ne abbiamo sviluppate alcune che sono biomimetiche, cioè non tossiche o pericolose per le cellule dei vari tessuti e che quindi non attivano effetti avversi o una risposta difensiva del sistema immunitario quando entrano in contatto con gli organismi – spiega Valentina Cauda, docente presso il Dipartimento Scienza Applicata e Tecnologia-DISAT – Abbiamo scoperto che queste nanoparticelle possono costituire un buon agente di contrasto per le tecniche di analisi con immagini ecografiche”

Infatti, quando viene realizzata una diagnostica per immagini sui tessuti nei quali sono presenti le nanoparticelle, viene generato un contrasto di immagine più elevato. Questo consente una visione del tessuto migliore e specifica della porzione di tessuto affetto da patologia, poiché le nanoparticelle sono in grado di legarsi alle cellule malate. Si tratta di un passo in avanti importante nel campo della ricerca per la diagnosi medica

Ad oggi abbiamo lavorato inoculando le nostre nanoparticelle in tessuti ex-vivo e riscontrato che agiscono come efficace mezzo di contrasto durante una ecografia, permettendo quindi di visualizzare meglio i tessuti o evidenziare specifiche zone di interesse patologico”, sottolinea la professoressa Cauda.  In uso, infatti, esistono già altre particelle utilizzate come mezzi di contrasto ma più grandi – le cosiddette microbolle – che “viaggiano” nei vasi sanguigni ma non riescono a penetrare in profondità nei tessuti proprio per le loro dimensioni micrometriche. 

Ma i risultati non si fermano qui. Le stesse nanoparticelle messe a punto per il contrasto ecografico possono anche generare una luminosità (sonoluminescenza) quando vengono colpite da ultrasuoni: “Abbiamo trasformato l’energia acustica in energia luminosa. Mentre questo effetto è noto da decenni, siamo state le prime ad ottenere un risultato di questo genere su cellule viventi, raggiungendo un’emissione di luce in loco che ha permesso di visualizzare le cellule tumorali: le prime sperimentazioni su cellule viventi non hanno provocato danni e hanno permesso di raccogliere immagini ottiche con ottimo contrasto e segnale”, spiega Veronica Vighetto, ricercatrice presso il DISAT che ha collaborato con la professoressa Cauda allo studio. 

Le prove sono state condotte in collaborazione con l’INRiM (Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica in Torino), con il Centro Interdipartimentale PolitoBiomed Lab e con le colleghe e i colleghi dell’Università di Twente in Olanda. Recentemente il lavoro è stato pubblicato dalla rivista scientifica Ultrasonics Sonochemistry. Il metodo di “attivazione” delle nanoparticelle con ultrasuoni è stato quindi brevettato sia in Italia che in Europa, e ha già ricevuto un premio di innovazione. 

Infine, le nanoparticelle messe a punto dal gruppo di ricerca di Ateneo possono anche essere utili per veicolare terapie antitumorali perché riescono ad avere un livello di versatilità molto alto: costituiscono una sorta di piattaforma multifunzionale, manovrabile ad hoc, per effettuare dal contrasto di immagine diagnostico al trattamento terapeutico tramite trasporto di farmaci, inibitori e specie antitumorali direttamente nel luogo in cui devono agire.

Gli elementi fondamentali di questi risultati sono stati anche finanziamenti di tipo Proof of Concept che permettono di avvicinare la ricerca di base al mercato. Gli studi condotti da Valentina Cauda hanno beneficiato, in particolare, di un PoC accademico nell’ambito del progetto PNRR Ecosistema NODES - Nodes | Nord Ovest Digitale e Sostenibile, che ha un’area tematica (Spoke 5) dedicata proprio a Industria della Salute e Silver Economy.

“Oggi abbiamo bisogno di fondi di ricerca traslazionale e di investimenti che ci aiutino a portare la ricerca a una prima sperimentazione clinica”, conclude la professoressa Cauda. Oltre ai fondi, tuttavia, possono essere coinvolte anche aziende attive nei comparti dei dispositivi biomedicali, così come quelle che operano nel settore degli agenti di contrasto e delle attrezzature per effettuare le analisi diagnostiche mediche. 

 

Immagine di copertina generata con l'IA