Immagine del nuovo progetto per il parlamento europeo con l'emiciclo dell'assemblea circondato dal verde
23/12/2022
In Ateneo

Una nuova casa sostenibile e aperta per la democrazia europea

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Foto dell'architetto Carlo Ratti
Carlo Ratti fotografato da Sara Magni

Il Parlamento Europeo ha deciso di rinnovare la sua casa, per renderla più sostenibile e aperta ai cittadini e alle cittadine dell’Unione. All’interno del consorzio vincitore del bando per ripensare l’edificio che ospita la democrazia europea a Bruxelles c’è anche un po’ di Politecnico. Del consorzio EUROPARC fa parte anche lo studio CRA-Carlo Ratti Associati, fondato dall’architetto Carlo Ratti, ex allievo del Politecnico.

Architetto Ratti, come descriverebbe il nuovo edificio del Parlamento Europeo?

In breve direi: collettivo, ispirato alla circolarità e aperto alla natura. Tre caratteristiche che si possono leggere da diversi punti di vista. Come prima cosa, la nostra scelta è stata quella di non demolire l’attuale edificio del Parlamento Europeo. Al contrario, la nostra intenzione è quella di riutilizzare la maggior parte della cosiddetta “struttura SPAAK”, sposando una logica di circolarità. L'attuale sede del parlamento ha numerosi difetti. Tuttavia, pensare di abbatterla e sostituirla con una nuova struttura sarebbe stato un approccio sbagliato e non sostenibile. Consideriamo semplicemente come il settore edilizio sia uno dei maggiori responsabili di emissioni di CO2 nell’atmosfera.

Seguendo questa logica, ci siamo concentrati su altri aspetti. Ovvero ci siamo domandati in che modo fosse possibile correggere i difetti dell’attuale edificio, e mettere a punto interventi puntuali che potessero realizzare altri obiettivi: aprire l’edificio, tanto verso la città quanto verso la collettività dei cittadini europei, e far entrare la natura in un luogo fondamentale per il futuro della politica mondiale.

Vorrei poi citare il modo in cui questo lavoro è stato realizzato. Il progetto è firmato da un nuovo collettivo, chiamato EUROPARC, composto da cinque studi di architettura di cinque Paesi europei: il nostro studio internazionale di design e innovazione CRA-Carlo Ratti Associati per l’Italia, JDSA / Julien De Smedt Architect dal Belgio, i francesi Coldefy, gli olandesi NL Architects, e gli spagnoli Ensamble Studio, con il supporto delle società di ingegneria di UTIL dal Belgio e i danesi Ramboll.

Si tratta di una formazione con la quale abbiamo voluto sottolineare un approccio all'architettura collaborativo e multidisciplinare – molto lontano dalle logiche autoriali del Novecento.

Quali valori di fondo vi hanno ispirato nella progettazione dell’edificio?

Il nostro team di progetto EUROPARC ha lavorato come se fosse una sorta di "parlamento dell’architettura", mettendo la discussione democratica al centro del processo di progettazione. In questo senso, credo che condividiamo tutti le parole dello storico di Yale Timothy Snyder, che qualche tempo fa aveva definito l’Unione Europea “a source of hope–perhaps the only source of hope for the future”, una fonte di pace, forse l’unica fonte di pace che abbiamo per il futuro.

Sappiamo anche però che l'Europa sta affrontando sfide molto complesse. Pensiamo a problematiche tra cui il cambiamento climatico, o le disuguaglianze sociali, o le convergenze tra mondo fisico e mondo digitale. Ci siamo chiesti: in che modo un edificio può aiutarci ad affrontare queste sfide, o se non altro a darci strumenti per capirle meglio? Le nostre risposte progettuali sono il tentativo di rispondere a queste domande complesse.

Come si colloca questo lavoro nel panorama della progettazione in Europa e nel Mondo?

Mi auguro che nel mondo dell’architettura riusciremo sempre più a concepire la progettazione come un’attività partecipativa. Un modo di progettare meno orientato all’affermazione del proprio ego e dedito invece all’orchestrazione di idee e discipline diverse. Nel nostro libro "Architettura Open Source" (Einaudi, 2014) l’abbiamo definito un "architetto corale".

Esiste un legame tra progettare un nuovo edificio per un parlamento e il lavoro di progettazione democratica che si svolgerà al suo interno?

Come dicevo prima, il processo creativo che ha guidato il progetto si è ispirato in modo profondo all'ideale democratico dell'Unione Europea - oltre ai cinque paesi che citavo prima, il nostro team collettivo conta oltre 30 nazionalità diverse. Nel complesso, il nuovo edificio EUROPARC crea un ecosistema civico che vorrebbe avvicinare sempre di più i cittadini ai processi democratici dell'Europa. Questo si declina essenzialmente in due modi.  Da una parte, attraverso la “Agorà Verde”, situata alla sommità dell’edificio, che abbraccia le parti conservate dell’originale struttura del Parlamento.

Si tratta di un giardino botanico pensato come luogo di incontro tra i cittadini e i rappresentanti politici. La natura entrerà inoltre a ridosso della grande sala per le sedute plenarie, sottolineando il dovere della politica sovranazionale nell’affrontare le sfide del cambiamento climatico. In qualche modo gli alberi parteciperanno in modo attivo alle sedute del Parlamento.

Dall’altra, a scala urbana, il progetto mira a rafforzare il legame tra l'edificio e la città. Aprendo l'isolato, migliora la continuità dei flussi pedonali nell'area e rafforza i collegamenti tra le aree circostanti - Place du Luxembourg e Parc Léopold: una toponomastica forse ancora non così nota, ma che vorremmo diventasse familiare a tutti in Europa, come la casa della nostra democrazia comune.

Dei suoi anni al Politecnico, cosa si porta dietro nel suo lavoro?

La curiosità! Mi appassionavano moltissime cose, infatti all’università ho finito per seguire un percorso di studi e lavoro che può forse apparire contorto: ingegneria, architettura, informatica, e per arrotondare un po’ di scrittura. Da ingegneri, potremmo definirlo un “random walk”, una passeggiata aleatoria. C’è voluto un poco di tempo, ma alla fine i puntini si sono uniti.

Da Alumnus dell’Ateneo, che consigli darebbe a un o una giovane che ha iniziato quest’anno il suo percorso al Politecnico?

Userei poche parole tratte dal film Jules & Jim di François Truffaut. In una scena, Jim racconta il dialogo con il suo professore Albert Sorel: “Mais alors, que dois-je devenir?” — “Un Curieux.” — “Ce n’est pas un métier.” — “Ce n’est pas encore un métier. Voyagez, écrivez, traduisez…, apprenez à vivre partout. Commencez tout de suite. L’avenir est aux curieux de profession.” Ecco, “Viaggiate, scrivete, traducete, imparate a vivere dovunque, e cominciate subito. Il futuro sarà dei curiosi di professione”.