Nasce il gruppo Biochar@PoliTo
Si è tenuta al Politecnico la settima edizione della Scuola Italiana di Biochar promossa da ICHAR, l’Associazione Italiana che si occupa della promozione del biochar, dei suoi utilizzi non solo in campo agricolo, dove è ormai affermato il suo uso come ammendante naturale, ma anche delle sue potenzialità nella sostituzione dei materiali derivanti dai combustibili fossili, carbon black in primis. L’evento, che si è svolto il 19 e 20 ottobre nella sede del Politecnico al Lingotto, ha visto protagonisti i maggiori rappresentanti della ricerca sul biochar al mondo, riuniti a Torino per riflettere sul valore innovativo del prodotto e sulle prossime strategie da adottare negli studi di settore. Numerosi i partecipanti, circa 100 provenienti da tutto il mondo, novità, questa, che rispecchia le recenti intenzioni di ICHAR di internazionalizzare il profilo della sua area di influenza. L’Associazione ha infatti deciso, a partire dallo scorso anno, di estendere l’invito anche a studiosi fuori dall’Italia, adottando quindi l’inglese come lingua ufficiale dell’incontro e proponendo un format più “itinerante”, con nuove sedi ad ospitare la Scuola oltre a quella classica di Firenze.
Per l’Ateneo erano presenti Mauro Giorcelli, ricercatore al Dipartimento Scienza Applicata e Tecnologia – DISAT e responsabile dell’organizzazione delle attività in qualità di membro del Board di ICHAR, David Chiaramonti, Vice Rettore per l’Internazionalizzazione, e Patrizia Savi, docente al Dipartimento di Elettronica e Telecomunicazioni – DET. Il Rettore Guido Saracco ha aperto i lavori.
Ma perché il biochar? Cosa rende questo materiale così interessante da proporlo quale soluzione innovativa per l’agricoltura, i compositi, il clima e l’energia?
Il biochar, così definito dall’IBI - International Biochar Initiative, è un materiale carbonioso ottenuto per degradazione termica, ovvero attraverso la pirolisi o la gassificazione di biomasse vegetali o animali che altrimenti sarebbero solo uno scarto. Il residuo solido del processo è infatti il biochar, che rappresenta un concentrato di carbonio che non viene rilasciato in atmosfera sotto forma di CO2 come succederebbe per una normale combustione. Considerando che il biochar contiene ben oltre il 50% di carbonio, il solo fatto di produrlo comporterà l’assorbimento di una quantità di anidride carbonica (CO2) atmosferica che diversamente, o per combustione o per degradazione naturale della biomassa, sarebbe ritornata in atmosfera andando ad aumentare i gas serra che, come sappiamo, sono i principali responsabili del cambiamento climatico. Una volta catturato, il carbonio contenuto nel biochar può essere utilizzato in diversi modi: nei terreni, dove rimane per oltre 100 anni con benefici per il terreno stesso, nei polimeri, andando ad evitare di utilizzare carbonio proveniente da combustibili fossili, e nei cementi e asfalti, consentendo l’uso di quantità inferiori di altri prodotti a loro volta inquinanti.
Se praticato su larga scala l’utilizzo di biochar avrebbe pertanto un impatto enorme, porterebbe, infatti, alla riduzione del 9% delle emissioni di CO2 europee. Da qui la svolta: se anche solo il 3,2% dei residui agricoli italiani venisse trasformato in biochar, spiegano i ricercatori, l’Italia raggiungerebbe l’obiettivo previsto dal Protocollo di Kyoto. Una soluzione importante, dunque, per risolvere la crisi della sicurezza alimentare globale e per garantire la sicurezza del suolo, attraverso il miglioramento della fertilità del terreno e della produttività delle colture e dell’agro forestazione.
Il biochar è talmente versatile che può essere utilizzato come pigmento nelle vernici, assumere la funzione di materiale assorbente o filtrante, e presenta inoltre proprietà elettriche e termiche.
Il Politecnico si pone quindi in prima fila negli studi sul biochar: al termine delle due giornate di incontri è stato infatti annunciato, per la prima volta al pubblico, Biochar@PoliTo, il nuovo gruppo di Ateneo per sviluppare gli studi sulla materia. Il board sarà composto da David Chiaramonti come Presidente, e da Mauro Giorcelli come Direttore Esecutivo. Membri e consiglieri Debora Fino, Direttrice del Dipartimento Scienza Applicata e Tecnologia – DISAT, Francesca Demichelis, ricercatrice al DISAT, Matteo Prussi, ricercatore al Dipartimento Energia "Galileo Ferraris" – DENERG, Carlo Cambini, docente al Dipartimento di Ingegneria Gestionale e della Produzione – DIGEP, Chiara Ravetti, ricercatrice al DIGEP, e Silvia Fiore, docente al Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture – DIATI. Il gruppo è in forte crescita e nuovi membri hanno già espresso interesse a farvi parte.
“Come ricercatore del Politecnico e membro del Board di Ichar – commenta Mauro Giorcelli – non posso che ritenermi molto soddisfatto sia dell’edizione della 7th Biochar School, che siamo riusciti a portare al Politecnico di Torino, che del nuovo gruppo Biochar@PoliTo. Il nostro Ateneo, grazie a queste iniziative, entra di fatto nello scenario nazionale e internazionale come protagonista di prim’ordine nel settore Biochar. A mia conoscenza non esiste Ateneo in Europa, e mi spingo a dire anche nel mondo, che abbia un gruppo unico che sia in grado di rispondere a tutte le richieste, forzatamente multidisciplinari, che il nascente mercato del Biochar richiede. Lo sforzo che abbiamo fatto, grazie anche al professor Chiaramonti e a tutti i colleghi che hanno entusiasticamente risposto alla nostra chiamata, rappresenta un passo importante per lanciare il Politecnico di Torino in un mercato in forte espansione che si prevede esploderà nei prossimi 2-3 anni. Possiamo sicuramente dire di essere dei pionieri”.