Terre rare
29/06/2023
Ricerca e innovazione

Le Terre rare sono solo la punta dell’iceberg

Si chiamano Terre Rare, ma sono in realtà metalli e non sono affatto rare.

Sono, infatti, relativamente abbondanti nella crosta terrestre almeno quanto il rame che, invece, è un metallo comune.

Piuttosto, a essere rari sono i giacimenti economicamente sfruttabili e ancor più rari sono i giacimenti ricchi di terre rare pesanti, il vero e proprio miraggio per la transizione energetica.

Per anni, le Terre Rare (d’ora in avanti REE, dall’inglese Rare-Earth Elements) sono rimaste un argomento di nicchia, appannaggio di una ristretta cerchia nella comunità tecno-scientifica, ma con il proliferare di tecnologie sempre più avanzate, come smartphone di ultima generazione, turbine eoliche ed automobili elettriche, stanno rapidamente scalando l’agenda del dibattito pubblico. A ben vedere, infatti, il tema ha ripercussioni non solo dal punto di vista scientifico e tecnologico ma anche da quello economico e geopolitico.

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Tavola periodica
La tavola periodica che, stando alla definizione della IUPAC, raggruppa i 17 elementi chimici delle Terre Rare
I magnifici 17

Stando alla definizione dell’International Union of Pure and Applied Chemistry, le REE sono un gruppo di 17 elementi chimici della tavola periodica.

Hanno nomi piuttosto esotici, anche se alcuni cominciano a essere meno sconosciuti: Lantanio (La), Cerio (Ce), Praseodimio (Pr), Neodimio (Nd), Promezio (Pm), Samario (Sm), Europio (Eu), Gadolinio (Gd), Terbio (Tb), Disprosio (Dy), Olio (Ho), Erbio (Er), Tulio (Tm), Itterbio (Yb), Lutezio (Lu), Ittrio (Y) e Scandio (Sc).

In base al peso atomico, i magnifici 17 si raggruppano in Terre Rare Leggere e Terre Rare Pesanti. Sono difficilissime da separare l’una dall’altra, ma, a parte il Promezio che in natura non esiste, ognuna di esse ha proprietà molto diverse e conferisce alle tecnologie che ormai utilizziamo tutti i giorni proprietà straordinarie, inimmaginabili fino a pochi anni fa.

La prima scoperta di REE risale al 1787, quando il tenente dell’esercito svedese Carl Axel Arrhenius rilevò un minerale che al suo interno aveva un mix di REE, dal quale solo 16 anni più tardi, nel 1803, venne isolato il Cerio. Il lavoro proseguì con intensità crescente negli anni a seguire, tanto che la quasi totalità delle REE venne scoperta tra il 1839 e il 1900.

 

Dentro i nostri dispositivi c’è un giacimento minerario   

Per ogni cellulare ci sono in media 9 grammi di Rame, 11 grammi di Ferro, 250 milligrammi di Argento, 24 milligrammi di Oro, 9 milligrammi di Palladio, 65 grammi di plastica e 1 grammo di un mix di REE, per la precisione Praseodimio, Neodimio, Cerio, Lantanio, Samario, Terbio, Disprosio. Nella batteria al Litio del cellulare, invece, sono contenuti 3.5 grammi di Cobalto e un altro grammo di REE.

Non solo nei nostri cellulari, ma anche nelle TV, negli schermi lcd, nelle lampade, negli hard disk dei computer, nelle fibre ottiche, in molte apparecchiature mediche recenti, nei magneti permanenti, nei sensori elettrici, nelle turbine eoliche e nei pannelli fotovoltaici… sono ovunque.

Ma è soprattutto con l’elettrificazione delle automobili che l’esistenza e l’impiego delle REE sta diventando un argomento saliente anche al di fuori delle cerchie di esperti ed esperte.

Fondamentali per l’economia del presente e del futuro mondiale, le REE servono per sviluppare tecnologie avanzatissime nel campo dell’aerospazio, della difesa e delle energie rinnovabili, ma anche nel settore medico, e perfino in quello petrolchimico, nel processo di raffinazione del petrolio greggio. Oggi, nell’era dell’innovazione e del progresso scientifico, sono diventate essenziali per la produzione dei dispositivi di alta tecnologia e cruciali per l'economia globale moderna. Ma, soprattutto, non ci può essere transizione ecologica senza REE, senza le quali non si potrebbe parlare di mobilità sostenibile e di energia rinnovabile.

Nei prossimi anni, la domanda di REE è destinata a crescere in modo esponenziale, anche a causa di una generalizzata intensificazione materiale, a cui stiamo assistendo da un paio di decenni, cioè la presenza di un elevatissimo numero di differenti elementi chimici all’interno di dispositivi di uso generalizzato.  

 

Il rovescio della medaglia

Come anticipato in apertura, a dispetto del loro nome, le REE non sono una risorsa scarsa sul pianeta, anzi, sono piuttosto ben distribuite nella crosta terrestre.

Il Cerio è presente con la stessa abbondanza del Rame e due tra gli elementi più rari della serie (Tulio e Lutezio) sono 200 volte più abbondanti dell’Oro. Tuttavia, a differenza di quest’ultimo, non esiste un’industria mineraria così diffusa ed organizzata sul pianeta.

I giacimenti di REE sono problematici sotto molteplici punti di vista, per esempio a causa di mineralizzazioni complesse, bassissime concentrazioni, presenza di Torio e altri elementi radioattivi.

Di conseguenza, l’estrazione, la lavorazione, la raffinazione e la purificazione di REE è un processo complesso, che necessita di tecnologie e capacità industriali ancor più rare delle Terre stesse, e per giunta con un impatto ambientale significativo.

Le sostanze attraversano una numerosa serie di passaggi che coinvolgono in più stadi sostanze chimiche potenzialmente nocive e filtraggi e che generano consistenti scarti tossici, con un costo ambientale potenzialmente elevatissimo: è stato calcolato che la lavorazione di una tonnellata di metalli delle terre rare produce circa 2.000 tonnellate di rifiuti tossici.

In prima battuta, sono causa dell’inquinamento delle acque, perché vengono utilizzate sostanze chimiche tossiche come acidi e solventi organici che possono contaminare le acque sotterranee e superficiali compromettendo la qualità e danneggiando gli ecosistemi acquatici. In seconda battuta, sono complici della distruzione degli habitat e della perdita di biodiversità. Infine hanno impatto sull’emissione di gas serra, in quanto la lavorazione delle REE richiede un notevole consumo di energia, spesso proveniente da fonti fossili.

A questi problemi tecno-scientifici si aggiunge un ostacolo di tipo geopolitico.

La disomogenea distribuzione delle miniere e impianti di trattamento dei minerali fa sì che, quantomeno al momento, la produzione di REE sia concentrata in pochi Paesi, dai quali – di fatto – dipende il resto del mondo. A esercitare il monopolio è la Cina, la quale possiede circa un terzo delle riserve mondiali attualmente note, pari a circa 44 milioni di tonnellate grazie alle quali copre circa il 60% dell’offerta. Seguono Stati Uniti (15,5%), Myanmar (10,5%) e Australia (10%). Di recente, la competizione a distanza tra i due più importanti produttori sta convergendo sulla Groenlandia, il luogo del pianeta con il sottosuolo più ricco di REE, con un potenziale stimato in circa 60 mila tonnellate all’anno, ovvero pari al 30% del fabbisogno mondiale.

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Terre rare
Le Terre rare fanno parte delle Materie prime critiche che, oggi, sono materiali indispensabili per le tecnologie dell'informazione e della comunicazione e imprescindibili per accompagnare la transizione energetica
Le materie prime critiche

Le materie prime di oggi sono totalmente diverse da quelle usate in passato.

Tra queste ci sono le REE e i materiali necessari per le tecnologie dell’informazione e comunicazione (ICT) e quelli necessari per far transitare il sistema energetico verso un assetto basato sulle energie rinnovabili.

 “Le Terre rare sono solo la punta dell’iceberg – dice il Professor Gian Andrea Blengini, del Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture (DIATI), docente titolare di Resources and Environmental Sustainability e Life Cycle Assessment (LCA), che dal 2013 al 2021 è stato ricercatore senior presso il Joint Research Centre della Commissione Europea – Spesso le REE vengono confuse erroneamente con i cosiddetti Critical Raw Materials, ovvero le materie prime critiche. Le materie prime critiche includono le Terre rare e, anche, tra gli altri, i metalli ferrosi e i “non metalli” più noti, come il Litio, il Cobalto, il Nichel, altrettanto indispensabili per le tecnologie. Si tratta, nell’insieme, di materiali di strategica importanza economica per l'Europa e caratterizzati allo stesso tempo da un alto rischio di fornitura. Tra le più importanti REE in relazione ai recentissimi sviluppi in campo tecnologico, c’è il Neodimio, il cui impiego principale è nella produzione di magneti permanenti, cioè oggetti che generano un campo magnetico costante, convertendo in modo efficiente l’energia del vento in elettricità e che mantengono la loro magnetizzazione nel tempo grazie all’impiego di piccole quantità di disprosio e samario. C’è, poi, il Terbio dei motori delle automobili elettriche ecc.”.

Ma sono sempre di più gli utilizzi in cui possiamo rintracciare delle materie prime critiche, le quali sono al centro delle ricerche tecnologiche che mirano alla miniaturizzazione e alle prestazioni più alte dei dispositivi.

Alla ricerca della sostenibilità (e dell’autosufficienza)

Siamo davanti a una corsa estrattiva destinata ad accelerare vertiginosamente.

La domanda di metalli e minerali indispensabili per la transizione energetica e digitale aumenterà del 500% entro il 2050: stando alle stime contenute in Metals for Clean Energy, studio pubblicato dall’Università KU Leuven e commissionato da Eurometaux, rispetto ai consumi attuali e comunque entro il 2050, la transizione energetica in Europa richiederà ogni anno +33% di Alluminio, +35% di Rame, +3500% di Litio, + 100% di Nichel, +45% di Silicio, + 330% di Cobalto. Sotto il velo delle percentuali si sostanzia materia per centinaia di migliaia (a volte milioni) di tonnellate annue. Sintetizzato: bisogna stabilizzare e garantire gli approvvigionamenti.

Stiamo vivendo una rivoluzione copernicana.

Con il passaggio da pratiche di economia dell’usa e getta a quelle dell’economia circolare, diventa centrale il tema dello sfruttamento intelligente di queste risorse preziose che deve conciliare l’estrazione mineraria responsabile con l’uso efficiente e circolare di ogni possibile materiale.

Al fine di mitigare i rischi ambientali e garantire una fornitura sostenibile di materie prime critiche, alcuni Paesi stanno cercando di sviluppare nuove fonti di approvvigionamento, aumentando la produzione interna o cercando alternative.

Inoltre, vengono intraprese iniziative per il riciclo e il recupero delle REE dai prodotti in disuso, al fine di ridurre la dipendenza dalle nuove estrazioni. Parallelamente, si stanno conducendo ricerche per lo sviluppo di tecnologie alternative che possano sostituire le REE o ridurne la quantità utilizzata.

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Tavola Periodica Degli Elementi - Terre Rare Zanichelli.jpeg
La Tavola Periodica degli Elementi, elaborata da European Chemical Society (EuChemS) nel 2019, chiamata "Element Scarsity". L'area della casella di ciascuno dei 90 elementi esistenti in natura è in relazione logaritmica alla sua quantità sulla crosta terrestre o nell'atmosfera. Questa opera è rilasciata con la licenza Creative Commons Attribution-NoDerivs CC-BY-ND
Quali sono gli obiettivi dell’Unione Europea?

Di fronte al panorama della globalizzazione, in cui le economie mondiali sono diventate interdipendenti, l’Unione Europea punta a diversificare la supply chain.

La Cina fornisce il 98% delle forniture di elementi di REE dell'UE, la Turchia il 98% del Borato, il Cile il 78% del Litio, il Kazakhstan il 71% del Fosforo, il Sudafrica, per quanto riguarda Iridio, Rodio e Rutenio, detiene quasi la totalità della produzione mondiale.

La strada decisa nel 2023 con il Critical Raw Materials Act punta a diversificare l'approvvigionamento da fonti primarie e secondarie e assumere sempre di più autonomia, migliorare l’efficienza e la circolarità, promuovere forniture responsabili a livello mondiale, anche attraverso la ricerca di nuovi partner commerciali.

Per la Commissione Europea, il 10% del fabbisogno europeo di materie prime critiche andrà estratto nel territorio dell’Unione; il 15% del consumo annuale di ciascuna materia prima strategica dovrà provenire dal riciclo, mentre il 40% del totale andrà raffinato su suolo europeo. Tradotto: il km zero delle materie prime critiche. La nascita della nuova Alleanza europea per le materie prime, presentata dalla Commissione Europea “per costruire la resilienza e l’autonomia strategica sulle terre rare”, punta proprio a questo: implementare un’azione concreta che identifichi barriere, opportunità e investimenti in tutta la filiera e intervenga sulla sostenibilità e sull’impatto sociale globale.

“Il Politecnico di Torino è uno dei soggetti centrali nell’innovazione e nella costruzione, ideazione e progettazione delle tecnologie all’avanguardia in cui sono presenti questi materiali. – afferma Blengini – Qui, si progetta il futuro e si compone il presente: il nuovo tipo di motore, il nuovo tipo di catalizzatore dell’aria e dei gas di scarico, il nuovo tipo di componente elettronico, il nuovo tipo di batteria, e così via. Fiore all’occhiello delle ricerche più innovative è l’Energy Center, punto d’incontro della ricerca di una maggiore efficienza tecnologica, del riciclo fine vita delle materie prime, e di tutto quello che tende alla sostenibilità. Inoltre, il Politecnico di Torino è l'unico Ateneo in Italia che offre un corso di laurea magistrale dedicato all'ingegneria mineraria, grazie all'orientamento "Sustainable Mining" del corso Georesouces and Geoenergy Engineering, che mira a potenziare la conoscenza e la ricerca in questo settore incisivo per il nostro futuro”.

Siamo di fronte a un rompicapo riguardo all’approvvigionamento di materie prime: innanzitutto l’Europa non produce in quantità rilevante nessuna delle materie prime critiche necessarie alla transizione energetica; in secondo luogo, la popolazione europea è la più sensibile al mondo ai temi ambientali. Le due questioni si intrecciano in questo dato di fatto: anche qualora si riescano a trovare giacimenti di materie prime sul suolo europeo, i cittadini difficilmente accetterebbero di vedersi aprire una miniera dietro casa. Spesso ci si riferisce a questo atteggiamento con il termine NINBY, acronimo dell’inglese Not in my backyard (“non nel mio cortile”), per definire quelle persone che non si oppongono a progetti infrastrutturali in assoluto, ma non vogliono che vengano realizzati vicino ai luoghi dove vivono.  

“Il concetto di Materie prime critiche proviene da un lessico umano. Umano perché se queste materie prime sono state definite “critiche” è perché lo sono per noi, per le nostre vite e per il modo in cui diamo senso al presente e, quotidianamente, decidiamo il nostro futuro. L’elenco delle materie prime critiche, tra cui si annoverano le Terre rare, è un elenco che cambia nel tempo e in base a chi lo delinea, perché è un elenco di attenzione e interesse. Attenzione e interesse, soprattutto a livello governativo e aziendale, in quanto tutto rientra in una cornice geopolitica. Ad esempio, per la questione energetica, per l’elettrificazione dei veicoli, nel settore della difesa o nel campo aerospaziale – conclude Blengini – Questo elenco di materie prime critiche col passare del tempo diventa sempre più nutrito: se nel 2011 la Commissione Europea aveva individuato solo 14 materie critiche, oggi, sono aumentate a 34 e, conteggiando le Terre rare una a una, sono complessivamente 53. Ma questo non è solo un problema europeo, perché per gli Stati uniti i minerali critici, sono in tutto 50, quindi il problema è globale”.