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18/09/2023
In Ateneo

L’innovazione che pedala a tutta velocità

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“Pedalare non significa solo mobilità, ma libertà.” Così scrive il professor Vittorio Marchis nel prologo di “Biciclette Politecniche. Tra invenzioni, innovazioni e sfide sociali”, il volume che è stato presentato in occasione della omonima mostra tutta dedicata al ciclismo, inaugurata il 10 settembre e visitabile fino al 23, presso il Castello del Valentino.

La Mostra – curata dai docenti Claudio Germak e Cristian Campagnaro del Dipartimento di Architettura e Design (DAD) e Walter Franco del Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale (DIMEAS) con la collaborazione di Lorenza Abbate, Alberto Cavallero, Stefano Gabbatore, Martina Leo, Marco D’Urzo del DAD; Antonio Koukzelas e Riccardo Vicentini del MOD Lab Design e Alessandro Dentis del virtuaLAB - è stata la tappa d’arrivo della PoLi 2023, la “Pontedera – Lingotto” organizzata dall’Associazione “La storia in Bici” in collaborazione con il nostro Ateneo.
Se PoLi 2023, alla sua settima edizione, è stata una 1000 chilometri all’insegna dei luoghi in cui l’industria italiana ha dato luce a invenzioni simbolo di cambiamento, la mostra “Biciclette Politecniche” continua questo giro nella Storia, tornando indietro nel tempo.

Il saggio “Biciclette Politecniche” è l’archeologia della bicicletta, scava tra gli eventi del suo passato, nell’immaginario e nella letteratura fino all’ingegneria che si celano nel telaio, tra i raggi della ruota e nel suono del campanello suggerendo interessanti spunti.
 

I primi velocipedi del 1800 erano in legno, spinti puntando i piedi a terra e che a Torino, proprio dove ora sorge il Politecnico, si tenne la prima gara indetta il 24 agosto del 1884 dall’Unione Velocipedistica Italiana, antesignana dell’attuale federazione ciclistica. La prima bicicletta da donna venne realizzata da Edoardo Bianchi per la Regina Margherita: lei imparò ad andare in bicicletta a 45 anni e la Bianchi divenne leader di mercato producendo oggi 70 000 biciclette all’anno. E, ancora, se pedalare su Marte può sembrare uno scenario utopico, ebbene, è un progetto inserito nel programma Nasa.

Marco Gios, costruttore di biciclette per la Gios Torino, parla del feeling che esiste tra “ciclista” e “ciclistica” del mezzo, cioè di quella complementarità perfetta tra i componenti della bicicletta e l’anatomia di chi pedala. Corpo e bicicletta, un duo indissolubile: tubi, ingranaggi sono perfettamente abbinati ai tendini, articolazioni e fibre muscolari di chi aziona la macchina. Una sorta di protesi del corpo umano. Ma pensate a tutte le macchine a pedali, inventate nel corso dei secoli. Walter Franco afferma che i muscoli, umani e animali, sono il più antico motore dell’umanità ma hanno trovato un immenso supporto con i «motori animati» come venivano chiamati nei manuali di ingegneria di inizio secolo (Colombo, 1933). Sin dall’antichità, sono state inventate macchine movimentate attraverso gambe e piedi per assistere nelle più disparate attività produttive e di servizio dei singoli e delle comunità: trebbiare, pulire e macinare grano, pompare acqua, sollevare pesi, azionare torni, seghe, trapani, frese, filare, cucire e, ovviamente ma solo più recentemente, spostarsi. Quello che a tutti gli effetti rientra nel transumanesimo, la modifica della condizione umana con l’aumento delle capacità fisiche e cognitive: Alex Zanardi è metafora dell’Homo Pedalanthis di cui parla Marco Pozzi, cioè della simbiosi tra umano e macchina, e dell’invenzione della handbike, cioè di un mezzo di locomozione pensato per persone con disabilità ridotta e che non possono contare sugli arti inferiori. Proprio come afferma il campione nell’automobilismo e nel paraciclismo Zanardi, grande esempio di perseveranza e credo nel sport: “Quando mi sono risvegliato senza gambe ho guardato la metà che era rimasta, non la metà che era andata persa.”

“Traverso le viti di una bicicletta, si può scrivere la storia d’Italia” ha detto Stefano Pivato, professore emerito di storia contemporanea, citando una frase del giornalista Gianni Brera. Non solo la storia d’Italia, ma anche il progresso, la ricerca costante di soluzioni per migliorare il confort di guida, la sicurezza, la velocità, l’inclusione sociale e l’architettura. “Nessun brand ha meglio di Vélib, la grande operazione parigina di noleggio bici del 2007, comunicato questo spirito, coniugando vélo (bicicletta, in italiano) con libertè. Oltre 10 000 bici e 750 stazioni automatiche hanno dato vita a un servizio che è stato riferimento anche per la qualità dei mezzi e delle installazioni per molte città: Lione, Lille, Nizza, Torino. Ha rappresentato una fase storica importante per la cultura urbana della bicicletta” scrivono Claudio Germak e Norman Storello.

Il design, oggi più che mai, è acceleratore di processi educativi, di democratizzazione e creazione di un’identità nazionale. Un esempio: la Graziella, mezzo di trasporto simbolo di libertà e del boom economico italiano. Rita D’Attorre e Pier Paolo Peruccio del Dipartimento di Architettura e Design affermano che: “Dalla sua nascita nel 1791 quando il conte de Sevrac inventava una sorta di «cavallo di legno» formato da due ruote da carrozza unite con una barra di legno fino a oggi, la bicicletta è passata dall’essere mezzo di trasporto elitario a popolare e democratico con ruolo cruciale nella storia sociale non solo italiana, influendo sul costume, sul modo di viaggiare, sul turismo e persino sul processo di emancipazione della donna.”
Per una donna del XIX secolo, andare in bicicletta era come parlare ad alta voce: cattiva educazione. Ma nel 1896, al Convegno delle femministe di Parigi, la bicicletta venne definita «egualitaria e livellatrice» mettendo in discussione, ora, l’abbigliamento perché corsetto e gonna non erano per niente comodi.
La rete di piste londinesi Skycycle di Sir Norman Foster, la ciclabile Arganzuela Footbridge di Dominique Perrault Architect a Madrid e la Xiamen Bicycle Skyway di Dissing+Weitling Architecture, la sopraelevata più lunga del mondo e la prima del suo genere in Cina sono solo alcuni degli esempi di progetti urbani bike friendly che assecondano i nuovi bisogni di mobilità di tutti.

Ancora Cristian Campagnaro e Marco D’Urzio: “A Torino, questo processo di evoluzione in senso sociale e comunitario è concreto e tangibile e se ne può fare esperienza diretta nelle molte decine di laboratori, grandi e piccoli, vocati al culto delle due ruote” consigliando tre posti da vedere assolutamente: il Bicerin, il bike caffè di San Salvario, le Officine Creative Torino, i laboratorio aperto e partecipativo, attivo nel quartiere Aurora e Monsù Ciclet, la ciclofficina sociale gestita dalla Cooperativa Animazione Valdocco.

Conclude Vittorio Marchis: “La bicicletta, e soprattutto l’azione che questa macchina comporta, il pedalare, ha quanto mai oggi un bisogno di nuove narrazioni, di nuove poesie, e di creare nuovi miti

La mostra, ad accesso libero, è visitabile presso la Sala delle Colonne del Castello del Valentino fino al 23 settembre nei seguenti orari: dal lunedì al venerdì 1.00 – 18.00; sabato 10.00 – 16.00