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21/12/2023
Ricerca e innovazione

AI Act europeo: il ruolo fondamentale dell’università

L’AI Act è il primo quadro normativo adottato a livello globale sullo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale, ed è stato approvato nelle sue linee essenziali lo scorso 9 dicembre dal Parlamento e dal Consiglio dell’Unione Europea. Per una riflessione più profonda sul tema abbiamo intervistato il professor Alessandro Mantelero, docente di Diritto Privato al Dipartimento di Ingegneria Gestionale e della Produzione – DIGEP del Politecnico, dove è titolare della cattedra europea “Jean Monnet Chair in Mediterranean Digital Societies and Law”.  Mantelero è stato ospite di recente alla conferenza “Prometheus’ Challenge. The Impact of Artificial Intelligence on Geopolitics”, organizzata dall’Ambasciata Italiana in Lussemburgo con il patrocinio del Politecnico.

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Alessandro Mantelero

Professor Mantelero, che cos’è l’AI Act e quale approccio utilizza?

L’AI Act è un regolamento europeo – quindi una normativa che entrerà immediatamente in vigore in tutti gli stati membri senza bisogno di attuazione specifica, salvo eventuali integrazioni – il primo al mondo sullo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale. L’accordo presenta due anime, una relativa alla sicurezza propria del prodotto e una legata invece all’impatto della tecnologia sui diritti fondamentali dei cittadini. L’approccio adottato è quello basato sul rischio, valutato con il criterio della gradualità, ed incentrato sui rischi di alto livello.

 

Quali sono le motivazioni che hanno spinto l’Unione Europea ad adottare una normativa di questo tipo?

L’Unione Europea si trova oggi in una condizione simile a molti altri Paesi – ad eccezione di Stati Uniti e Cina – una condizione in cui, utilizzando molte nuove tecnologie di IA prodotte da imprese non europee, per garantire un uso dei prodotti in linea con i propri principi deve agire sul piano normativo. Non possedendo, infatti, un‘industria forte di IA su cui esercitare un potere persuasivo in termine di orientamento, diventa la regolamentazione il principale strumento di azione.

 

Quali interessi si scontrano nel dibattito che ha portato al compromesso raggiunto?

Da questo accordo raggiunto nei c.d. triloghi – il testo definitivo dell’AI Act verrà formalmente approvato solo nei prossimi mesi – sono risultati evidenti diversi interessi, come è solito nel processo regolatorio e specie ove si disciplinano aspetti con rilevante impatto socio-economico. I soggetti più attivi sono stati certamente l’industria e la società civile. La prima ha cercato di ridurre l’onere della regolamentazione, ma non si è mostrata contraria alla sua introduzione – l’assenza di una normativa su una tecnologia cruciale ed in progressiva diffusione come la IA comporta, infatti, incertezza e difficoltà nello sviluppo tecnologico e nell’operare sui mercati. La società civile ha visto con favore il nuovo regolamento, come strumento di tutela rispetto ai rischi potenziali di alcuni usi dell’IA, ma nel dibattito ha scontato – e sconta tuttora – un forte problema di rappresentazione: rispetto all’industria, la cui presenza nel tavolo dei negoziati è stata più attiva, grazie anche a maggiori risorse, la voce della società civile è più debole. È in questo contesto che l’università ha un ruolo importante con una funzione di analisi e conseguente mediazione fra le varie istanze, facendosi latrice di soluzioni normative equilibrate nei luoghi decisionali e all’interno del dibattito pubblico. L’università svolge, a riguardo, un duplice ruolo nei confronti dell’IA e del suo sviluppo: di policy, a supporto degli organi legislativi, e di formazione, a sostegno di un insegnamento che combina la disamina degli aspetti tecnici dell’IA e l’analisi delle questioni giuridiche ed etiche che il suo sviluppo inevitabilmente solleva.

 

Com’è stato accolto l’AI Act nel dibattito pubblico europeo?

Vorrei sollevare, su questo punto, un’osservazione critica: è stato spesso enfatizzato, nel dibattito pubblico sulla regolamentazione dell’IA, il tema degli usi da proibirsi, usi sicuramente preoccupanti, ma che a volte hanno sviato l’attenzione dalla quotidianità della tecnologia. Da quelle applicazioni a rischio alto ma non così alto da risultare vietate, eppure così pericolosamente capaci di incidere sulla vita delle persone in varia maniera, ad esempio precludendo loro l’accesso a servizi essenziali. Nell’attuare l’AI Act servirà quindi ampliare il dibattito sull’IA, prestando maggiore attenzione, specie in termini di indicazioni operative agli sviluppatori ed ai primi utilizzatori (ad esempio le amministrazioni pubbliche) circa le modalità di valutazione e gestione dei rischi relativi all’impatto sui diritti di tante applicazioni dell’IA ad alto impatto, ancorché non proibite.

 

Per concludere, ha quindi senso, secondo lei, parlare di un regolamento europeo? Sappiamo infatti che l’Intelligenza Artificiale ha tutte le caratteristiche per essere una tecnologia rivoluzionaria, e non servirebbe allora una regolamentazione a livello globale?

Per rispondere a questa domanda è necessario ragionare su due piani distinti: quello del framework regolatorio globale, o regionale ad ampio spettro, e quello della regolamentazione puntuale dei singoli governi. Si tratta di una questione prettamente tecnico-giuridica: una convenzione approvata a livello globale si basa, infatti, sulla collaborazione fattiva degli stati che la sottoscrivono, un regolamento UE, come l’AI Act, o una normativa nazionale sono invece immediatamente applicativi. Il compito proprio di una futura convenzione globale, come ad esempio quella in discussione al Consiglio d’Europa, è quello di uniformare, ossia servire da punto di riferimento per le nazioni che ancora non possiedono uno strumento regolatorio su questa materia, un modello a cui possono guardare come ad un canovaccio a cui ispirarsi. Un canovaccio che rende, inoltre, più facile, la collaborazione fra gli stati stessi perché incentrata su un modello condiviso. I due livelli tuttavia non si escludono a vicenda, ma al contrario si combinano, esercitando un’azione di coordinamento e convergenza il primo, quello globale, e rendendo operativi i principi messi in campo il secondo, quello regionale o nazionale.