Innovare con discernimento

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Tecnologia, innovazione, competizione. E incertezza. E’ attorno a questi concetti che Marco Cantamessa – professore di Gestione di Innovazione e Sviluppo del Prodotto al Politecnico di Torino - ha fatto ruotare la sua lezione al Master EMBT. “Certo – dice - il tema è ambizioso, soprattutto perché ha l’obiettivo di fornire gli strumenti per venire a capo della grandissima incertezza che caratterizza tutti i trend di oggi, e che per le imprese significa nuove strategie, cambio di pianificazioni e, in definitiva, prospettive di sviluppo, ma spesso anche di esistenza. Si tratta di una condizione che tocca tutti quelli che operano nella gestione e nella governance  dell’impresa: i manager  che la governano al vertice come  i quadri intermedi della sua struttura organizzativa, e senza dimenticare il ruolo ricoperto dagli azionisti. Ed è necessario fare attenzione: parlare di scenari competitivi e tecnologici non ha solo una valenza culturale, ma anche e soprattutto operativa”.

Non solo tecnologia quindi, ma anche capacità di leggere quanto accade fuori dall’impresa. Come si fa?

“Essenzialmente andando a guardare cosa è accaduto in altre fasi storiche in cui l’innovazione e il cambiamento hanno già avuto impatto e successo. E’ necessario andare a osservare i collegamenti tra tecnologia, impresa e società. Con un’attenzione fondamentale: la storia non si ripete, ma quanto è accaduto permette di sviluppare schemi di riferimento che diventano strumenti per interpretare quanto accade oggi e individuare percorsi futuri. Occorre però avere grande accortezza dell’uso di questi strumenti: perché, oltre che dalle azioni che si compiono, molto dipende dal contesto in cui si opera e dalla soggettività dell’impresa. E’ questo grado di analisi che differenzia la semplice chiacchiera, o la teorizzazione astratta, da una visione competente. La sfida è riuscire ad identificare i principi generali di evoluzione dell’innovazione e di riuscire a declinarli nelle circostanze reali in cui opera ogni impresa”.

Tutto questo avviene in diversi passaggi?

“Diciamo che deve avvenire tenendo conto di elementi diversi che agiscono contemporaneamente. E’ qui la difficoltà. Occorre avere la visione generale del processo d’innovazione, ma anche degli attori in gioco, delle risorse disponibili, e anche dei luoghi geografici e culturali in cui si opera. Non esiste una successione predeterminata di tappe, ma una sincronia di circostanze e di fatti che evolvono insieme. Poi bisogna anche capire bene quale innovazione si ha davanti”.

Quante innovazioni ci sono?

“Verrebbe da dire infinite. In realtà, è possibile pensare a due principali tipologie di innovazione: c’è quella rivoluzionaria (l’innovazione disruptive è quella rivoluzionaria quando tocca in modo dirompente anche i settori industriali e le filiere produttive) e c’è l’innovazione evolutiva. Spesso tutto si gioca nella capacità di cogliere la tipologia dell’innovazione che si ha davanti e nel gestirne le dinamiche. La disruptive innovation è quella che fa chiudere le aziende mature, ma che fa anche nascere mercati nuovi, imprese nuove, spazi di sviluppo prima pressoché sconosciuti. Di fronte all’innovazione vince chi è più attento e veloce a capirne le caratteristiche e le dinamiche, e ad adattarvisi. Serve anche, e sovente questo viene dimenticato dagli studiosi di management, aprire la “scatola nera” della tecnologia, così da comprendere almeno a grandi linee le differenze tra le varianti di una stessa traiettoria tecnologica, e il modo con cui possono impattare l’architettura del prodotto o del processo. Solo a questo punto si è in grado di ipotizzare se e come un’impresa sia in grado di affrontare l’innovazione”.

L’innovazione è per tutti?

“Sì, se opportunamente gestita. Diciamo che, una volta che si è analizzato il contesto e compresa la direzione da intraprendere, le manopole da usare sono due: la prima consiste in una roadmap, un percorso, che guarda allo sviluppo delle competenze necessarie per il futuro,  e la seconda consiste nel portafoglio progettuale dell’azienda, che è poi la declinazione operativa delle scelte strategiche. E, torno a ribadire, non basta capire l’innovazione e dove sta andando il mondo: è necessario valutare in che posizione è l’impresa e cosa può realmente fare. Ci sono vincoli finanziari ma anche storici, personali, le conoscenze tecniche che sono l’attuale patrimonio dell’impresa, le relazioni tra gli azionisti e tra questi e il management. Lo ripeto: conta molto il livello di specificità dell’impresa”.

Le tecnologie sono però oggettive.

“Più o meno. C’è dibattito tra chi argomenta che la tecnologia sia oggettiva, e quindi capace di plasmare la società in modo deterministico, e chi invece sostiene il contrario, cioè che sia la società a costruire e plasmare la tecnologia. Anche qui, di caso in caso, conviene guardare ai soggetti che producono innovazione e quelli che la adottano, tenendo conto della loro comprensione di questi fenomeni, della loro proattività, e del loro atteggiamento di fronte al rischio”.

E le ultimissime tecnologie? L’intelligenza artificiale?

“Come dicevo prima, l’oggettivizzazione delle tecnologie è pericolosa. Spesso le tecnologie emergenti vengono viste come un qualcosa che si autoavvera, forse perché i grandi progressi del settore “digitale” degli ultimi trent’anni ci hanno un po’ portati a credere che tutto sia facile e possibile. La storia e la conoscenza dei processi di sviluppo tecnico ci dicono che non è così banale, e che non c’è nulla di automatico. Anche se siamo portati a credere che sia così, chi governa un’impresa o chi ha responsabilità politiche (in realtà, chiunque viva nella società contemporanea) deve avere in qualche misura quanto ho ricordato prima: una visione competente”.

Quindi?

“Quando si guarda alle tecnologie e agli scenari competitivi occorre stare attenti alla loro complessità e alle loro dinamiche temporali. Bisogna distinguere il rumore di fondo dalla sostanza, per trovare il giusto disincanto ed equilibrio tra l’ottimismo e il pessimismo, tra il coltivare l’esistente e lo scommettere sul futuro, e tra un agire troppo cauto e uno precipitoso. La strategia migliore è quella sostenuta dall’attenzione ai fenomeni, da un profondo discernimento, e da una attenta gestione dei tempi. E’ questo che permette di fare scelte razionali”.